Mercoledì 8.3.’44, la notte di Purim, gli ebrei fortunati, che ancora vivevano nei loro paesi, si sono recati nella loro sinagoga, nei luoghi di studio o negli altri luoghi di preghiera, per celebrare la grande festività, il simbolo nazionale ed eterno del miracolo del Purim, e per manifestare l’augurio di poter assistere, al più presto, alla fine del nuovo Aman dei tempi moderni.
In quella stessa ora, ad Auschwitz-Birkenau, 140 ebrei del “Sonder-kommando” sono usciti in fila per recarsi in un luogo, ma non una sinagoga, né a un incontro per celebrare la festa, per onorare il grande miracolo del Purim. Hanno marciato a capo chino, immersi in una grande afflizione.
Salmen Gradowski narra l’arrivo sui camion degli ebrei cecoslovacchi nella zona delle camere a gas, con i riflettori accesi, un grande dispiegamento delle forze delle SS con i loro cani e motociclette, fucili carichi e granate.
Ecco contro quale nemico si prepara a combattere quest’oggi il bandito. Hanno “paura”, questi banditi, che a una delle cinquemila vittime, che non vuole morire come una mosca, possa saltare in testa di fare qualcosa di audace, prima di morire. È lui, questo eroe sconosciuto, che ha una tale paura, al punto di armarsi di fucili altamente evoluti.
Ormai tutto è pronto. 70 uomini del nostro kommando sono, anch’ essi, posti a guardia della zona del crematorio, recintata.
In diversi capitoli, è narrato l’arrivo delle donne al bunker, spaventate, confuse, rassegnate, impotenti, mentre fuori continuano ad arrivare i camion. Provo rabbia e tristezza ma mi costringo ugualmente a leggere, voglio ricordare queste donne umiliate, offese e che, tuttavia, andando incontro alla morte, intonano l’inno della Tikva. Ricordarle, è tutto quello che posso fare per loro.
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Salmen Gradowski, Sonderkommando. Diario di un crematorio di Auschwitz, 1944. a cura di Philippe Mesnard e Carlo Saletti